MEGLIO UN SI O MEGLIO UN NO?

Potere genitoriale e sfida educativa.

L’interrogativo ricorrente, che spesso porta i genitori a chiedere il parere dell’esperto, riguarda il tipo di risposta da dare alle richieste spesso pressanti dei figli.

La consulenza rappresenta in molti casi l’ultima spiaggia, l’ultimo disperato tentativo di porre rimedio a un rapporto conflittuale in cui c’è sempre qualcuno che vince e qualcuno che perde: quando a vincere è il genitore (con il “NO!”), il figlio, che gli piaccia o meno, dovrà sottomettersi a una decisione che in qualche modo nega un suo bisogno. D’altra parte, quando a vincere è il figlio, il bisogno negato è invece del genitore, che per stanchezza preferisce cedere piuttosto che dare seguito ai capricci del primo  (“Ok giocherò con te, basta che la smetti!”).

In entrambi i casi c’è sempre una parte insoddisfatta, un genitore o un figlio che avverte una spiacevole sensazione di fastidio per una soluzione mal digerita. Questo malcontento spesso è solo l’inizio di un circolo vizioso che porta ad esacerbare vissuti negativi e, conseguentemente, a deteriorare la relazione.

Eppure i genitori continuano ad abbracciare condotte autoritarie o, all’estremo opposto, disimpegnate; nel peggiore dei casi oscillano da una modalità all’altra, a seconda della situazione o del livello di sviluppo dei figli, creando ulteriore confusione e risentimento in questi ultimi.

L’adozione di siffatti modelli educativi, rappresenta una scelta per certi versi “obbligata”, in assenza di alternative capaci di realizzare condizioni accettabili per tutti.

Anche il permissivismo in quest’ottica viene bocciato, poiché generatore di figli egoisti, incuranti dei genitori in adolescenza e incapaci di condotte empatiche in età adulta. In realtà una terza via c’è sempre ed in questo caso consiste nell’ascoltare i figli, indipendentemente dalla loro età, dove per ascolto si intende l’apertura a una comunicazione non giudicante (“Stai sbagliando”), priva di moralismi  (“Dovresti fare così…”), dove l’autorità (“So io cos’è meglio per te”) viene deposta in favore della democrazia (“Sono qui per ascoltarti… dimmi pure”).

Ascoltare i figli significa sforzarsi di comprendere il significato sotteso a certi messaggi cifrati, senza interpretarli, bensì verificando direttamente con loro l’accuratezza della nostra comprensione (“Mi sembra che… Ho capito bene?”).

L’ascolto comunica interesse e getta le basi per il dialogo; ascoltare è infatti il modo migliore per sperare di essere ascoltati! Il dialogo a sua volta favorisce il confronto e, da questo, la produzione di idee per risolvere il conflitto, dove entrambi genitori e figli ne escano vincenti.

Spetta al genitore il difficile compito di sintonizzarsi con il proprio figlio, concedendogli fiducia e responsabilità, facendolo partecipare attivamente alla ricerca della soluzione buona per tutti (“Che ne dici se cerchiamo assieme qualche idea per risolvere il problema?”).

Così facendo il genitore non solo saprà gestire equamente piccoli e grandi conflitti quotidiani, ma saprà soprattutto offrire al figlio un’importante opportunità di crescita e maturazione: lo renderà sempre più autonomo nella risoluzione dei problemi personali, maggiormente capace di sviluppare condotte pro-sociali, e infine riconoscente ai genitori per avergli concesso il giusto spazio che merita.

Dott.ssa Tiziana D’Orlando

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